Il Regno dello Scrittore ~ Fan Fiction Forum

From Here to Ethernity: BLACK TOWER II, Fanfic isipirata a yugioh, aquarion, torre nera

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Darkflareknight
CAT_IMG Posted on 15/2/2007, 15:28




Preludio: L'avvento delle Ombre


Come mai era sveglio? Il buio della notte lo avvolgeva, eppure distingueva chiaramente ogni cosa all'interno della stanza. Capì immediatamente perchè si era svegliato. Non era più nella sua camera da letto. La brezza del mare. Non sentiva più sulla sua pelle il placido soffio del vento, il profumo della salsedine non gli arrivava alle narici. Solo l'odore della polvere del deserto. Ma dov'era? Ricordava di essersi coricato nel suo letto, sulle soffici e fresche lenzuola di lino. Ricordava il cielo stellato sopra di lui, perchè la Torre dell'Alba d'estate veniva scoperchiata proprio per pernettergli di godere di quel panorama meraviglioso di miliardi di stelle sopra di lui. Non riusciva a capire. Possibile che fosse stato rapito? Non lo riteneva possibile. Il Palazzo era inespugnabile. Di sicuro non era più a Kemet. Si mosse verso l'unica porta che vedeva. Un lungo corridoio completamente immerso nell'oscurità si stendeva davanti a lui, costellato di porte. Aveva sete. Indossava ancora i suoi gioielli. Li aveva tolti prima di andare a dormire, lo faceva sempre. E cosa ancora più strana, non portava al collo il simbolo sacro di Ra. Eppure non aveva paura. Una calma composta teneva a freno i suoi nervi, e gli pervadeva il corpo. Si avviò deciso lungo il corridoio. I suoi piedi nudi non facevano rumore mentre avanzava con passo sicuro. Arrivò ad un doppio portone socchiuso, da cui filtrava un barlume di luce. Spalancò la porta senza fatica. Una sala del trono. Era quindi in un altro palazzo. Solo che sembrava deserto. Tutto era in perfetto ordine e immacolato. La grande sala rettangolare era illuminata debolmente da dei braceri che profmavano di incenso e di sandalo. Il suo profumo preferito. Entrò. C'era un forte odore di sangue sotto agli aromi che ardevano nei braceri. Sentì un rumore provenire dal fondo della sala. Si volse e vide un uomo inginocchiato. Dietro di lui stava in piedi una figura avvolta in un mantello nero con un cappuccio abbandonato sulle spalle. Il viso dell'uomo inginocchiato era pieno di stupore... ed era terrorizzato. Un giovane schiavo forse. Era robusto e muscoloso. Non gli sembrava ferito. Ma l'odore di sangue veniva da lui. L'uomo dietro al ragazzo era alto. Aveva i capelli biondi, come i druidi del nord, e la carnagione pallida. Gli si avvicinò con passo sicuro. L'uomo ammantato retrocesse e si inginocchiò a sua volta. Il ragazzo era legato con cinghie di cuoio. Lo guardava avanzare sui tappeti damascati della sala come se credesse di sognare. Quando gli fu davanti la consapevolezza si aprì nella sua mente e sgorgò nel suo cuore il desiderio. La sete aumentò dentro di lui. Guardò l'uomo con il mantello inginocchiato.
"Mio adorato Kalebh..."
L'uomo alzò legermente il capo, guardando il Faraone con un ghigno d'acciaio in volto.
La morbida voce del sovrano parlò di nuovo. "Ti sei ricordato. Bravo."
Il Faraone si immerse nelle Acque dello Stige, il cui colore è Rosso, e il cui nome è il Tempo.

Quando l'alba spuntò all'orizzonte Enkhyl di Kemet aprì immediatamente gli occhi. Aveva un vago ricordo della notte precedente, frammenti di uno strano sogno che non riusciva a ricordare. Un palazzo nel deserto. Una notte senza Luna. E una terribile sete che non lo aveva abbandonato. Si alzò, e ancora completamente nudo si diresse al centro della stanza, verso la piccola piscina. Al centro della piscina c'era una statua della Vergine delle Acque. Dalla giara della Vergine sgorgava acqua purissima. Si addentrò fino alla statua e si offrì al getto. L’acqua lambiva la sua pelle abbronzata come la sensuale carezza di un tenero amante. Si dissetò al getto della fonte. Uscì dall’acqua e lasciò che fosse la brezza ad asciugarlo, a portare via i ricordi della notte passata in un luogo abbandonato senza nome(c’era un nome... un nome a lui familiare) completando il lavoro purificatore dell’acqua. Il sole si stava alzando. Si cinse la vita con una semplice gonna di lino. Indossò il simbolo Sacro di Ra Arakti, il Dio del Sole. E iniziò a pregare. Si diresse verso l’altare nell’angolo ad est, dove i primi raggi cominciavano a posarsi sulla stola di seta orientale. Accese gli incensi e si inginocchiò di fronte alla piccola statua di alabastro della divinità. Lentamente i ricordi di quel sogno inquietante lo abbandonarono lasciando in lui un senso di calma, pace interiore. Sentiva i raggi del Sole cingerlo, abbracciarlo, restituendogli la serenità che era solito accompagnarlo; insieme alle Benedizioni di Ra Arakti. Si alzò, e volse lo sguardo verso l’angolo dove Karim, il suo servitore, dormiva ancora beato sui soffici cuscini adagiati su di un tappeto di velluto rosso. Gli faceva tenerezza vederlo addormentato in quel modo, con la bocca semiaperta, come dormono i bambini. E a onor del vero, Karim era poco di più. Lui stesso era solo un ragazzo, eppure aveva sulle spalle il destino di una delle più potenti nazioni. Non aveva fretta di svegliare Karim, ma se il maestro di Palazzo lo avesse sorpreso a dormire ancora quando il suo Sire era sveglio si sarebbe arrabbiato.
Gli si avvicinò lentamente. Si chinò accanto a lui e tese il braccio.
“Karim.. Karim, svegliati. Se Khayman ti trova ancora a dormire ci farà punire entrambi. Coraggio, alzati. Ra Arakti è già alto e luminoso nel cielo.”
Il giovane si mosse, sbadigliando.
“Mmmm... sei tu il Faraone... dovresti fare qualcosa... che ne so, impiccalo, fagli strappare quella linguaccia biforcuta, dallo in pasto ai coccodrilli del Send... uffa...”
Enkhyl sorrise di quelle proteste. Ogni giorno sapeva inventarsi qualcosa di nuovo. Ma sapeva che aveva un grande affetto e una grande stima di Khayman, non meno di lui. Il ragazzo si alzò, e si diresse alla fonte, dove si immerse e cominciò a lavarsi.
Karim sapeva di non poterlo fare, quella fonte era per uso personale del sovrano, eppure non se ne curava minimamente. A lui non importava, ma come diceva sempre il suo Tutore, le Regole sono fatte per essere rispettate, non infrante in un miliardo di modi. E Karim sembrava conoscerli tutti, pensò divertito. Poi si concentrò, posando la mano destra sul Simbolo Sacro, e lanciò un incantesimo verso Karim. L’acqua della fontana si fece ghiacciata, e il ragazzo saltò fuori imprecando.
Aveva i capelli del colore del mogano, di un rosso cupo, gli occhi verdi, e la carnagione chiara. Non era muscoloso, infatti non era altro che un valetto, non una guadia del corpo. Assomigliava moltissimo alla madre, che Enkhyl aveva amato profondamente. La madre di Karim, Kit’Yarah era stata la sua balia. E una volta la compagna del Faraone suo padre. Lui E karim non erano coetanei, ma erano cresciuti insieme. Più che un servitore per Enkhyl Karim era un fratellino, e dato che condividevano la stessa discendenza paterna, avevano anche lo stesso sangue. Ma il destino di Karim era quello di servire, il suo invece quello di governare. Anche se spesso si chiedeva dove fosse la differenza.
“Maledetto spilungone! Ma che scherzi del cavolo! Mi si sono congelate le estremità, e intendo dire TUTTE!”
Enkhyl lo guardò sorridendo, con un sopracciglio alzato. “Se tu fossi stato più rispettoso del tuo Signore, invece di buttarti come un bue in uno stagno nella fontana che solo a lui è riservata, non saresti stato punito.”
“Segati la lingua! L’hai fatto pechè ti diverte! Accomodati qua sopra su questo trono, Sua Altezza!” ribattè il ragazzo rivolgendo il dito medio al suo Sire.
Enkhyl si volse ridendo più che della lingua tagliente di Karim dell’espressione sconvolta dell’amico. Sembrava un gattino caduto in un barile di acqua piovana.
Si avvicinò al forziere, e scelse i suoi bracciali preferiti. Indossò un ampio collare di platino, su cui sistemò il Disco Solare con il Dragone avvinghiato, il Simbolo Sacro di Ra Arakti.
Scelse un paio di cavigliere, e si sistemò la corona in testa. Si guardò allo specchio. Karim comparve dietro di lui.
“Avreste dovuto aspettarmi, mio signore. Sapete che è compito e diletto del Vostro umile servo aiutarvi nell’adornare tanta grazia e splendore come si addice ad un Sovrano del Vostro rango” disse con un profondo inchino.
Enkhyl gli sorrise nello specchio. “No, grazie, non mi va di farmi strangolare con un collare di platino, direi che non è esattamente quello che mi aspettavo da questa giornata.”
In quel momento il Maestro di palazzo entrò negli appartamenti Reali. Un uomo alto, più alto del giovane faraone che già misurava oltre il metro e ottanta, con spalle larghe e un ampio torace muscoloso. Indossava una veste di lino con i colori del casato reale, simbolo di appartenenza alla corte del Faraone. Il capo completamente rasato, il viso senza barba, come gli Alti sacerdoti di Ra Arakti. Si avvicinò ai ragazzi.
“Buongiorno mio Signore. Vedo che questa mattina Karim si è svegliato in tempo per adempiere alle sue mansioni.” Disse soddisfatto.
“Come ogni giorno, Sai-Khayman.” Rispose l’interessato con un sorriso da orecchio a orecchio dandogli un’aria comicamente assurda.
L’uomo non rispose ma il lato destro del labbro guizzò per un istante, come per reprimere un sorriso. Era quasi impossibile trattenersi davanti a Karim. Khayman guardò il suo Sire.
Era uno splendore, come ogni giorno. I capelli corvini, ereditati dal padre, morbidi e lisci, gli scendevano fino alle spalle. Il bel viso dai lineamenti aquilini, la fronte ampia, le labbra carnose e sensuali, ma soprattutto Khayman adorava quegli occhi meravigliosi del colore dell’ametista, dal taglio orientale, dono della madre. Quegli occhi pieni di luce e amore. Era già molto alto per essere un ragazzo così giovane, e la robusta muscolatura gli dava un aspetto più anziano di quanto fosse in realtà. Enkhyl si alzò e andò al tabernacolo dov’era conservata la sua spada, con cui si cinse il fianco. Era stato l’ultimo dono di suo padre, prima di lasciargli in eredità il regno di Kemet. Si volse, e con i suoi servitori, uscì per fare colazione nel giardino pensile a nord. Lungo il corridoio centrale una figura ammantata di nero aspettava pazientemente l’incedere del sovrano. Lunghi capelli biondi ondeggiavano con la brezza. Il giovane faraone sorrise. Sveltì il passo per raggiungere l’uomo che si inchinò di fronte al sovrano.
“Kalebh! Sei dunque tornato! Com’è andato il viaggio?”
“Aye, grazie-sai. Tutto tranquillo mio Signore. Ho trovato degli Asura ad un’oasi, ma me la sono cavata solo con un graffio.” Rispose mostrando il braccio destro fasciato. Gli Asura, spiriti vendicativi di viaggiatori morti, caduti vittime dei predoni del deserto tendevano agguati nelle oasi dove avevano trovato la morte.
Enkhyl si chinò e prese il braccio delicatamente tra le mani. Chiuse gli occhi e si concentrò. Il Simbolo Sacro sul petto si illuminò per un istante. Le ferite di Kaleb si rimarginarono all'istante.
“Grazie mio signore, vi sono profondamente grato.”
“Sciocchezze. Allora, Mago Nero, raccontami tutto, ogni cosa. Voglio sapere come sono le terre occidentali d’oltremare.” Kaleb sorrise e si incamminò insieme al sovrano e ai suoi servitori. Un’ombra passò sul viso di Khayman, che incrociò lo sguardo dello stregone. Non gli piaceva Kalebh, e non capiva perchè il faraone Akemon, padre di Enkhyl, lo avesse assuto alle sue dipendenze. Non si fidava di un uomo che palesemente, aveva trovato il segreto dell’eterna giovinezza e si vestiva sempre con pesanti indumenti di colore nero, anche con il caldo del meriggio, e che era costantemente pallido, come una statua di marmo. Da che lo aveva visto la prima volta, 16 anni prima, non era invecchiato di un solo giorno. Mentre il suo sire conversava amabilmente con il Mago Nero, Khayman cominciò a riflettere. E a rievocare il passato.

Mentre percorreva il corridoio di marmo bianco verso il giardino pensile insieme al sire Enkhyl, al Mago Nero e Karim nella sua testa un più giovane Khayman percorreva quel corridoio a ritroso verso le stanze reali della Torre dell’Alba. E si fermava davanti alla porta. Le guardie gli cedettero il passo. All’interno della camera il sovrano sedeva su di uno sgabello di ebano, e la sua Regina stava in piedi accanto a lui. La regina Lydia era una donna di straordinaria bellezza. Una figura alta, slanciata, fasciata da una veste di lino bianca, un viso ovale dai lineamenti morbidi e dolcissimi, e due occhi orientali viola ametista, che avevano stregato tuti coloro che li avevano osservati per anche solo un secondo, il cadere di un granello di sabbia in una clessidra. Il sovrano, un uomo massiccio, poco più basso ma più muscoloso dello stesso Khayman, con i capelli corvini tagliati corti e il viso dai lineamenti duri, virili sedeva con aria corrucciata. Era stato un grande condottiero, un guerriero poderoso, un invincibile lottatore. Khayman si avvicinò a testa bassa e si inginocchiò davanti al suo re. Re Akemon, faraone di Kemet si alzò.
“In nomine Osiride! Sia fatta la Luce Rivelatrice sull’ombra delle menzogne!” tuonò il sovrano. Dal cielo piovvero tre spade di luce che si fermarono circondandoli tutti e tre.
Il sovrano lo guardò, e poi gli parlò con voce ferma.
“Dimmi Khayman. Mi sei fedele?”
Il ministro non capiva. Mai aveva messo in dubbio, nemmeno per un secondo, la sua fedeltà al faraone. Sapeva che se avesse cercato di mentire, le spade di luce rivelatrice lo avrebbero trafitto a morte, gettandolo nella gehenna.
“Si mio Signore. Vi sono fedele fino alla morte e oltre.”
Il sovrano parlò di nuovo.
“E dimmi mio fedele Khayman. Dimmi. Cosa sei disposto a fare per il tuo Faraone?”
Khayman rispose senza esitare.
“qualsiasi cosa vostra grazia mi ordini, io porterò a termine il mio compito o morirò nel tentativo di farlo. Ogni vostro desiderio è un ordine al quale ubbidirò immediatamente, fosse anche togliermi la vita.”
Il viso del sovrano era una maschera di pietra immobile. Impossibile decifrarlo.
“Dimmi mio fedele servitore, mio Khayman. Mi seguiresti nella terra dei morti?”
“Si, se questo è il desiderio o l’ordine del mio faraone.”
Il viso del faraone si addolcì. La regina, che fino ad allora era rimasta impassibile e immobile sorrise. Le spade rivelatrici si spensero. Quindi, inaspettatamente, il sovrano si chinò e lo abbracciò, cingendolo con entrambe le braccia.
Khayman prese coraggio e parlò.
“Sire... mio amatissimo sire.. ditemi cosa vi angoscia.. vi supplico... vi scongiuro mio sire... il vostro umile servo darà la vita per voi se necesario...”
Si alzarono insieme. Il viso del Re era tornato serio.
“No, mio unico e solo vero amico. Non ti chiederò tanto. Ti chiedo di accompagnarmi nella mia ultima impresa da avventuriero. Ti chiedo di venire con me, nel deserto. Fino alla città proibita di En’gha.” Khayman rimase di sasso. En’gha, un mito, una leggenda, un luogo di sventura. La Terra dei Morti.
“Io verrò con voi ovunque andiate... ma sire... la città di En’gha...”
Il sovrano andò ad un tavolo dove alloggiava un cilindro di pelle. Lo aprì e srotolò una pergamena. Sulla pergamena, era segnata con chiarezza una mappa. E sulla mappa c’era la locazione esatta di En’gha. Khayman la guardò incredulo.
“E’ sempre stata in possesso della nostra famiglia. Da secoli. Noi discendiamo dagli antichi sovrani di En’gha.”
“ma... mio sire... questo significa che le leggende... sono vere...”
“Aye, lo sono, e lo sono tutte.”
“...allora perchè volete andare a En’gha?”
Fu la regina a rispondere.
“perchè è il solo modo che abbiamo di avere un figlio. Solo se andrete a En’gha a recuperare un potente incantesimo la maledizione che perseguita la dinastia reale verrà spezzata.”
Khayman sapeva che c’era qualcosa che non andava. Il faraone e la sua consorte avevano provato più volte ad avere un figlio. E sempre senza successo. Solo lui sapeva che erano stati interpellati maghi, sapienti, guaritori da tutte le parti del mondo per cercare una soluzione al problema. Nè Sire Akemon, tantomeno la sua consorte, erano stati trovati impossibilitati a procreare. Tutto funzionava a dovere. Ma gli dei non avevano ancora benedetto la loro unione con un erede che sopravvivesse al parto, o per più di qualche giorno. Inevitabilmente, i neonati morivano inspiegabilmente dopo pochi istanti, l’ultimo, aveva visto il sole sorgere ma non tramontare.
“Sulla stirpe reale di Kemeth grava una antica e potente maledizione. Una maledizione che ci impedisce di continuare la nostra dinastia. In passato tutti i sovrani si sono recati ad En’gha per spezzare questa maledizione che grava su di noi. Purtroppo ogni nuovo Faraone deve compiere il viaggio, perchè la maledizione colpisce uno alla volta tutti i membri della famiglia reale, e non può essere spezzata definitivamente.”
Khayman ascoltò il sovrano con attenzione. E poi parlò a sua volta.
“Sua maestà il faraone Ramseth vostro padre non vi aveva rivelato nulla riguardo a questa maledizione?”
Il faraone Akemon si volse a guardare il cielo infuocato del tramonto.
“Come ben sai sono salito sul trono a otto anni, repentinamente in seguito all’assassinio di mio padre. Forse voleva aspettare che fossi abbastanza grande da poter capire l’importanza e la gravità del fatto. Purtroppo non fece in tempo a mettermi in guardia, e che io sappia non lasciò nulla di scritto, così come voleva la tradizione per impedire che i documenti cadessero nelle mani sbagliate. Se i cospiratori non fossero stati smascherati dal generale Alakhay non sarei sopravvissuto nemmeno io.”
“Dunque sire, come siete venuto a conoscenza della maledizione? Chi poteva saperlo oltre ad un membro della famiglia reale?”
Fu la regina Lydia a prendere la parola.
“E’ stato il figlio dell’allora mago di corte. Il giovane Mago Nero Kalebh. Suo padre era al servizio del faraone Ramseth. Quando il sovrano fu assassinato il mago Koranoth era in servizio alla corte del faraone. Ramseth aveva grande fiducia e grande stima di Koranoth, e gli rivelò il segreto della famiglia reale nella speranza che il potente stregone potesse aiutarlo a porre fine alla maledizione.”
Khayman ascoltava con grande attenzione, riflettendo attentamente su quanto gli veniva rivelato. Fu di nuovo il sovrano a continuare
“Koranoth mi lasciò in custodia al generale Alakhay che divenne il primo ministro come ora sei tu, mio fedele Khayman. E partì alla ricerca di un modo per liberarci dalla maledizione definitivamente. Purtroppo le sue tracce si persero definitivamente.”
“ma allora mio sovrano, ditemi, come fate voi a sapere della maledizione?”
Fu una nuova voce a parlare, dal fondo della stanza. Una voce dura come campane di ferro. “Sono stato io a rivelare loro la verità alla luce delle spade rivelatrici.”
Khayman volse lo sguardo verso il nuovo interlocutore. Un giovane con una tunica completamente nera avanzava verso di loro con passo sicuro. I suoi lunghissimi capelli biondi ondeggiavano con la brezza che arrivava dal mare, i suoi occhi azzurri come il mare aperto lo guardavano quasi misurandolo, e la sua carnagione pallida lo faceva sembrare una statua di alabastro semovente. Nell’insieme una figura terribile e bellissima. Nel pugno destro stringeva lo scettro di Demnos, il bastone del mago di corte.
“Dunque voi siete il Maestro di Palazzo, il primo ministro Khayman.”disse con un sorriso. “Sua maestà il faraone vi stima più di chiunque altro, e vedo con piacere che è una fiducia ben riposta. Io sono Kalebh, il Mago Nero. Sono da oggi ufficialmete lo stregone di corte. Sarà un piacere essere al vostro fianco nel servire sua altezza il faraone Akemon di Kemeth.”
Khayman lo guardò un istante nei gelidi occhi di ghiaccio.
“Aye io sono Khayman il maestro di palazzo di sua grazia il faraone. Lunghi giorni e piacevoli notti Kalebh il Mago Nero. Un piacere e un onore il nostro incontro.”
“Prima di partire per il suo ultimo viaggio mio padre mi parlò. Mi raccontò il problema che affliggeva la stirpe reale, e mi disse che presto sarei dovuto partire per Kemeth. Sarei dovuto venire qui e prestare servizio alla corte di Sua maestà il faraone. E raccontargli ogni cosa alla luce delle spade rivelatrici, di modo che si potesse fidare di me. Portavo comunque il sigillo della famiglia reale”disse mostrando il bastone “come prova della mia buona fede. Mi disse che se non fosse tornato entro sei mesi, sarei dovuto partire. Ho atteso nella speranza per più di un anno, e invano. Credo che mio padre non tornerà, ovunque sia ora.”
Khayman rifletteva. Non gli piaceva quel giovane, eppure nessuno poteva ingannare la luce delle spade rivelatrici. Decise di lasciare al suo faraone la decisione ultima riguardo al concedere fiducia al Mago Nero, ma di tenere sempre gli occhi aperti e le orecchie tese. Lo avrebbe fatto sorvegliare anche dai muri se possibile. Quindi si rivolse al suo re.
“Mio signore, mio amatissimo sovrano, vi seguirò ovunque decidiate di andare, perfino nella gehenna.”
Il re sorrise benevolo. “sapevo di poter contare sul tuo aiuto, mio Khayman. E saprò ricompensare la tua fedeltà.”
“Non c’è ricompensa più grande della vostra serenità mio signore. Non desidero altro che servire il mio faraone.”
“Lo so Khayman, per questo sarà ancora di più un piacere per me farlo. Ora ti chiedo di andare a prepararti, perchè domattina prima che sorga il Sole saremo in viaggio.”

Il gruppo raggiunse il giardino pensile sulla terrazza a nord, sulla torre di Frontemare, dove il vento fresco profumato di salsedine spirava leggermente più forte richiamando il primo ministro al presente. Mangrovie, alberi di sandalo, e goni sorta di fiore esotico e profumatissimo crescevano in armonia e venivano coltivati con cura dai giardinieri reali. La tavola imbandita per la colazione si trovava al centro della terrazza, all’ombra delle mangrovie. Il giovane sire fece accomodare tutti e i servitori cominciarono a portare le pietanze per la colazione. Khayman si sedette alla destra di sire Enkhyl e fulminò Karim con lo sguardo che stava per accomodarsi accanto a lui. Il giovane scattò subito in piedi e si avvicinò al sovrano, pronto a servirgli la colazione. Re Enkhyl sorrise compiaciuto e si rivolse al suo ministro.
“Suvvia Khayman, non essere così severo, almeno quando siamo tra di noi... lascia che Karim sieda con noi e ci tenga compagnia.”
“Naturalmente ogni vostro desiderio è un ordine mio signore, ma permettete a quella grottesca caricatura di essere umano di guadagnarsi almeno questo privilegio servendovi come dovrebbe essere sua priorità assoluta.” Rispose placido Khayman guadagnandosi la parodia di un’occhiata gelida da Karim con divertimento del Faraone e del suo ospite.
“Va bene Karim, ora siedi con noi e fai colazione. Come vedi non puoi sfuggire a Khayman, il suo sguardo è più vigile proprio quando sembra non esserlo affatto. E così Kaleb c’è un nuovo sovrano che si proclama imperatore delle terre del nord... che cosa sei riuscito a scoprire?”
“non molto mio Sire... sono un popolo che spesso cambia sovrano e identità, si sono chiamati camuni, etruschi, e ora si definiscono romani, dal nome della loro nuova capitale, la città di Roma. Il loro sovrano si fa chiamare Augusto, che nella lingua latina significa grandioso, magnifico.”
“Conosco la loro lingua. Khayman mi ha fatto imparare il latino, il greco e il sassone. Anche se non ho mai visto nessuna terra al di fuori dei confini di Kemeth. Dimmi una cosa Kaleb. Questa notte ho fatto un sogno molto strano. Credevo di aver rimosso il ricordo ma a quanto pare non vuole abbandonarmi. Esistono palazzi nel cuore del desrto di Kemeth?” Il primo ministro sentì un nodo in gola. Palazzi nel cuore del deserto. Palazzi in rovina nel cuore del deserto di Kemeth. En’gha.
“Solo nelle leggende e nelle credenze popolari mio signore. Certo voi sapete a cosa mi riferisco. Volete sapere se esiste davvero la città proibita?”
Karim abbassò lo sguardo. A nessuno era permesso citare la città proibita secondo le leggi di Kemeth, nè di giorno tantomeno lontano dai raggi e dalle benedizioni di Ra Arakti che splendeva nel cielo. Iside non possedeva una luce abbastanza forte per tenere lontani i demoni della paura. Solo Kaleb aveva osato infrangere una regola che Karim non avrebbe mai e poi mai infranto, per quanto gli piaceva infrangere tutte le stupide regole di palazzo. Enkhyl rispose.
“Aye, desidero saperlo. Ma in un luogo e in un momento più adatto.”
“Come desiderate mio sire. Avrò la risposta alla vostra domanda.”
Finirono di fare colazione e si alzarono da tavola.
“Kaleb, sarai stanco, vorrai riposare dopo il lungo viaggio. Karim, accompagnalo ai suoi appartamenti ai piedi della Torre dell’Alba. Vieni Khayman, ho bisogno di chiederti consiglio.” Si congedarono, e il giovane sire si addentrò nei giardini con il suo ministro.
“E’ tutta la mattina che sei silenzioso, mio Khayman. Cos’è che ti angoscia? Ti prego, dimmi cosa ti assilla. Ho visto il tuo sguardo vagare alla ricerca di qualcosa molto distante nel tempo, forse nel passato, ma magari anche nel futuro. Dimmi Khayman, io ti prego, e non te lo ordino, perchè sai che ti amo come mio padre e mia madre ti amarono.”
Khayman riflettè. Non poteva parlare con il suo sire di quello che gli passava per la mente. Non poteva raccontargli nulla, aveva giurato solennemente davanti al suo sovrano, il faraone Akemon che avrebbe aspettato la maggiore età del giovane sire prima di raccontargli ogni cosa. Ma non poteva nemmeno mentirgli, perchè non voleva farlo e perchè sapeva che il suo sire se en sarebbe accorto e gli avrebbe dato un dolore. SI inginocchiò davanti al giovane faraone, con la testa abbassata e le mani sopra il capo, con i palmi aperti rivolti verso il suo re.
“Mio sire, mio amatissimo sire... non posso rivelarvi i motivi della mia angoscia. Non lo posso fare. Vi domando perdono, mio signore...vi supplico di perdonare il vostro servitore. Ho fatto una promessa a vostro padre il mio amatissimo sovrano il faraone Akemon anni or sono.” Enkhyl si inginocchiò davanti a lui, e gli prese il viso tra le mani.
“Non sei obbligato, se un giuramento ti vincola. Sono certo che mio padre aveva i suoi motivi per chiederti di osservare il silenzio. Ora però questo fardello sembra essere diventato troppo pesante per le tue sole spalle. Dimmi in che modo posso aiutarti a sopportarne il peso. Dimmi come posso fare senza costringerti a venire meno alla tua parola. Dimmelo e io lo farò, immediatamente.”
Khayman sentì il cuore stringersi in una morsa. Sapeva cosa doveva fare. Ma era restio a farlo. Decise di agire comunque.
“Mio signore, io ... sono senza parole. Non merito tanta stima, tanta considerazione. Ma per il vostro bene, mio amatissimo sovrano vi prego, vi supplico, allontanate immediatamente il Mago Nero dal palazzo, e non chiedete altro. Non fate altre ricerche, dimenticate di aver sognato. Dimenticate tutto. Non per quest’uomo indegno, ma per il vostro bene. Vi supplico mio sire.”
Il viso del giovane si rabbuiò un istante. Poi sorrise e parlò di nuovo.
“Farò come mi chiedi Khayman. E lo farò oggi stesso. Affiderò una missione a Kaleb, di modo che stia lontano dal palazzo. E non indagherò oltre. Ma la verità Khayman prima o poi mi raggiungerà, se questo è il mio destino.”

Giunse la sera a palazzo. Enkhyl andò in cerca del mago nero che non si era più visto per tutto il giorno. Bussò alla porta della sua camera. Pochi istanti dopo lo stregone aprì la porta. Sul petto nudo dello stregone c’era diversi tatuaggi, che ricoprivano la pelle in linee e cerchi e simboli magici, e anche le braccia fino ai polsi portavano gli stessi strani simboli. Il mago nero si inchinò cedendo il passo al sovrano.
“A cosa devo l’onore di questa visita?” disse composto.
“Mi vuoi dire che per una volta non sai già con largo anticipo cosa sono venuto a chiederti, Kaleb?” domandò il giovane sire. Kaleb sorrise, e tornò a dedicarsi alle sue borse da viaggio che stava riempiendo di provviste.
“tu che cosa ne dici, mio sire?” ripose indicando i bagagli già pronti accanto alla porta.
“...Kaleb...”
“A-ah. Non una parola. So già cosa vuoi dire. Sai già come la penso. Piuttosto, ascoltami. C’è una fanciulla, una mia apprendista, nata dove ora sorge l’impero di Roma. Sta venendo qui. Pensavo di presentartela io, ma non avrò la possibilità a quanto pare. Ti chiedo di ospitarla qui. Lei non sa nulla di En’gha, ma potrebbe aiutarti se decidi di non mantenere la promessa che hai fatto a Khayman.”
“Si, certo, sarà la benvenuta .... ma come...”
Il mago nero si volse sorridendo. “Infatti non lo sapevo, lo immaginavo. Me lo hai confermato tu adesso. Devi diventare più scaltro mio sire. E’ troppo facile prenderti di sorpresa.” Chiuse la bisaccia e si chinò a prendere le altre. Indossò la lunga tunica nera e tirò indietro il cappuccio che gli copriva il viso.
“Arrivederci mio signore. Ti prego di avere cura della giovane Esmeralda.”
“Arrivederci Mago Nero. Finchè sarà sotto la mia protezione non le accadrà nulla, ti do la mia parola.” Lo stregone uscì e si diresse ai cancelli. Il sovrano si avviò verso le sue stanze. Salì i gradini della Torre dell’Alba fino ad arrivare in cima. Karim era seduto su di una panca e lucidava la spada del faraone. Sembrava assorto nei suoi pensieri ed Enkhyl non disse nulla. Si tolse la corona, e i gioielli, riponendo tutto nel forziere con cura. Si tolse la gonna di lino bianco e si offrì al getto della fontana. Uscì dal’acqua e Karim gli porse un telo di cotone per asciugarsi. “Vieni, andiamo a cena” gli disse il ragazzo.
Enkhyl non aveva fame. Il sole calava all’orizzonte e si sentiva pesantemente stanco.
“Non ho fame Karim. Va’ tu se vuoi, io vado a dormire. Sono molto stanco. Metti due guardie alla porta e dì loro di non far passare nessuno, nemmeno Khayman. Stanotte puoi dormire nelle stanze di Kaleb. Karim lo guardò sorpreso.
“Sei sicuro di sentirti bene? Hai l’aria molto tirata... sembra che non dormi da giorni...”
Enkhyl sorrise mentre si coricava. “Sto bene. Ho solo bisogno di riposare.” Karim uscì e obbedì agli ordini, poi cercò Khayman e gli spiegò la situazione. Il ministro non sembrò preoccupato. Dopotutto era stata una giornata pesante. Si ritirarono entrambi, e poco dopo che Karim e Khayman si furono addormentati, nel cuore del deserto il faraone si destava di nuovo.

La sala del trono riluceva dei deboli bagliori dei bracieri. Sedeva sul trono, assorto nei suoi pensieri. Come mai Kaleb era in ritardo? Strano. Decise di uscire ad aspettarlo sotto il cielo stellato, nella piazza principale. Si alzò e la porta della sala del trono si spalancò. Kaleb entrava trascinandosi un giovane soldato. Il faraone sorrise compiaciuto. Il soldato lo vide e cominciò ad urlare. Kaleb lo colpì alla nuca con il bastone tramortendolo. Enkhyl si avvicinò al giovane soldato legato dalle cinghie di cuoio. L’inebriante profumo del sangue gli riempì le narici. “Ci hai messo tanto stavolta. Stavo per uscire a prendere una boccata d’aria.” Disse il faraone placido.
“Scusa. Ho avuto da fare. Devo stare più attento, e anche tu. Ali del Sole. Si sta destando.”
“Si lo so. Sei stato bravo. Ti darò molto di più di ciò che mi hai chiesto. Ti darò un intero continente.”
Il Mago Nero sorrise. “Non mi interessa. Io voglio due cose soltanto. Il trono di Roma. E il primo ministro Khayman. Insieme al giovane Karim.”
Enkhyl si strinse nelle spalle e posò il piede sul petto dell’uomo svenuto. “Sia come vuoi. Non me ne faccio nulla.” Cominciò ad esercitare una forte pressione sul torace del soldato che si destò. Cercò di sottrarsi alla morsa d’acciaio, ma senza risultato. Quando le costole cedettero alla pressione con uno schianto secco il ragazzo urlò di nuovo e vomitò un getto di sangue.
“Ops... sono stato cattivo...” disse compiaciuto il faraone. Sollevò il ragazzo che emise un lugubre lamento. Le sue labbra si muovevano senza far uscire suoni, ma capiva che stava pregando. Lo supplicava. Afferrò le cinghie che immobilizzavano il soldato e le strappò con entrambe le braccia. Il ragazzo cadde a terra.
“pietà mio signore, pietà... vi supplico ... vi sono sempre stato fedele... pietà.. pietà...”
Enkhyl si avvicinò con un sorriso da squalo dipinto sul volto. Il ragazzo cominciò a piangere atterrito. Enkhyl di Kemeth esplose in una fragorosa risata.
Mentre la divinità oscura consumava il suo sacrificio, riacquistando le forze e l’antico splendore il Mago Nero rifletteva. Ormai manca poco. Tra non molto sarà l’ora del confronto finale. Devo essere pronto. Si diresse verso l’ingresso del palazzo dove aveva lasciato un altro pegno di fedeltà per il suo Oscuro Signore. Una giovane e avvenente fanciulla. Come il soldato anche la ragazza era legata. Si chinò per aiutarla ad alzarsi. Lo sguardo della giovane donna era vacuo e assente. La ragazza non oppose resistenza e lo seguì docilmente. Quando rientrò nella sala del trono il faraone si voltò a guardarlo. Nel pugno destro reggeva per i capelli la testa mozza del soldato. Vide la giovane e avanzò verso di lei sbarazzandosi del macabro trofeo. La ragazza non reagì. Enkhyl le si avvicinò e le accarezzò il viso dolcemente. La liberò dalle pastoie di cuoio e prese ad accarezzarle i capelli. La giovane scoppiò in lacrime e gli si appoggiò al petto. Enkhyl la cullava dolcemente. Ad un tratto la ragazza sollevò lo sguardo spalancando gli occhi abbagliata dalla comprensione. I suoi occhi caddero in quelli del faraone, e la mente della ragazza ne fu annientata all’istante. Quando la prese non si oppose minimamente.



A molte miglia di distanza dal palazzo di Hamon-Aptra poche ore più tardi il giovane Faraone aprì gli occhi trovandosi coperto di sudore, con una violenta erezione. Il sole stava per sorgere. Vedeva la chiara linea dell’orizzonte ad est farsi porpora. Si sentiva debole, e svuotato. Si guardò. Aveva il ventre appiccicoso. Cos’era accaduto? Si diresse alla fontana. Si immerse e si lavò con cura. Non aveva ricordi della notte passata. Si sentiva fiacco e debole. Forse perchè era a digiuno dal giorno prima. Ma non aveva per niente appetito. Si sdraiò di nuovo sul letto, completamente bagnato. Meglio. Doveva alzarsi a pregare, ma non riusciva a muoversi. Il terrore dell’alba gli riempì il cuore per un istante. Doveva trovare riparo! Amon-Ra non doveva trovarlo nudo e indifeso. Si riaddormentò senza rendersene conto. Quando riaprì gli occhi Khayman e Karim erano al suo fianco, ad osservarlo, con aria preoccupata. Ra Arakti era alto nel cielo. L’eco di una voce lontana (Amon-Ra io ti MALEDICO!) che gli suonava familiare proclamò qualcosa che non riuscì a decifrare, sfiorando la sua mente scivolandogli addosso come una tela di ragno bagnata.
“...Sire...” cominciò Khayman “avete avuto un incubo... il sommo sacerdote del tempio di Ra Arakti sta arrivando per visitarvi...”
Enkhyl lo guardò sorpreso. Vedeva il volto preoccupato dei giovani soldati che Karim aveva messo di guardia.
“Ma io non ho avuto un incubo. Sto bene. Sono solo... un po’ debole. Sono sicuro che dopo aver fatto colazione starò benissimo. Karim, chiama le cameriere, chiedi che mi portino qualcosa da mangiare. Anche per voi, se non avete fatto colazione.”
Khayman intervenne di nuovo
“Sire... le guardie dicono che avete urlato nel sonno. Sono entrati temendo di trovare un aggressore, e vi hanno trovato a contorcervi sul letto... la vostra pelle fumava, come se scottasse. I soldati dicono di avervi sentito urlare il nome di Amon-Ra.”
Enkhyl li guardò stupefatto. Possibile? Amon-Ra... il nome dell’antica divinità del sole, prima che si fondesse con il figlio Horus per diventare Ra-Arakti. Più di un millennio prima. Enkhyl si alzò, sorretto da Khayman. Si cinse la vita con una stola di seta bianca e si avvicinò alle guardie che si prostrarono ai suoi piedi. Si inginocchiò davanti alle guardie che temevano la collera del loro sovrano.
“Ascoltatemi. Non temete di venire puniti, perchè non vi punirò. Ma devo sapere se vi devo la vita, per potervi adeguatamente ricompensare. Ditemi esattamente cosa è successo.” I ragazzi si guardarono in viso. Poi, quello che sembrava più anziano parlò.
“Siamo rimasti tutta la notte di guardia come ci avevate fatto ordinare dal vostro servitore vostra grazia. Verso l’alba abbiamo sentito che vi lamentavate. Abbiamo bussato ma non abbiamo sentito risposta. Quando Ra Arakti è spuntato nel cielo avete cominciato ad urlare come se vi stessero bruciando vivo. Siamo corsi dentro, e vi abbiamo trovato sul letto, inondato dal sole, che vi contorcevate come se i raggi vi mangiassero la carne. Sembrava che la vostra pelle fumasse, come se il sole vi bruciasse. Io sono corso a chiamare il obile Khayman che già saliva le scale insieme al vostro servitore. Quando siamo rientrati dormivate tranquillo, come se niente fosse." Enkhyl ascoltava con crescente stupore. Volse il viso verso il cielo. Ra Arakti lo baciò benevolo come al solito, nonostante non avesse adempiuto ai suoi doveri religiosi in tempo. Si chiese se non fosse stato quello il motivo. Si era sempre svegliato poco prima dell’alba... come mai aveva dormito fino a tardi? Forse era solo stanco... e in ogni caso il sacerdote del Tempio di Ra Arakti lo avrebbe sicuramente guarito da qualsiasi malattia, qualsiasi maledizione lo affliggesse sarebbe stata spezzata. Enkhyl parlò di nuovo ai soldati.
“Ascoltate. Non ricordo nulla di ciò che è accaduto. Non ricordo niente se non di essere andato a dormire presto, perchè ero molto stanco. Quello che avete visto non dovete proferirlo ad anima viva. Non parlatene nemmeno tra di voi. Dimenticate e sarò molto generoso con voi. Spargete la voce o fatevi trovare a parlarne e io sarò in collera, e la mia vendetta sarà impietosa come il giudizio del deserto. Ora farete un giuramento alla luce delle spade rivelatrici.” Karim gli porse il simbolo sacro del Disco Solare. Enkhyl lo indossò. Quando il metallo freddo gli toccò il petto sobbalzò un istante. Si alzò in piedi, e lanciò l’incantesimo. “Alla Luce! Io ti comando! Spade Rivelatrici! Cancellate la menzogna dai nostri cuori!” Le lame fendettero l’aria e calando tra di loro. I soldati erano spaventati. Enkhyl assunse un’aria composta e severa. “Ora giurate, e non temete. Se la menzogna non alberga in voi le spade rivelatrici non vi sfioreranno neppure. Ma se cercate di infrangere il giuramento vi troveranno ovunque e vi uccideranno, gettandovi nella gehenna.” I soldati si prostrarono di nuovo e giurarono solennemente di non rivelare mai ad anima viva l’accaduto, nè di farne parola tra di loro. Tanto bastò al sire. Li congedò e tornò a sdraiarsi sul letto, la stanchezza non lo aveva abbandonato, e il senso di nausea e inappetenza si faceva più forte. “Karim, ho cambiato idea, non ho fame ora... voglio solo riposare un po’... tirate gli scuri di modo che possa avere un po’ d’ombra... aspetterò sua eminenza qui.” Karim stava per ribattere ma Khayman gli chiuse la bocca con un gesto. “Come desiderate mio Signore, vi lasceremo riposare. Karim tira gli scuri.” ordinò il primo ministro. Karim obbedì facendo scorrere le stuoie di bambù lungo il patio su cui era posto il letto del faraone, di modo che lo riparassero dal sole. Enkhyl si sdraiò e chiuse gli occhi. Khayman uscì ad attendere l’arrivo del sacerdote mentre Karim si accomodava su di uno sgabello di legno accanto al letto del faraone. Il suo sire aveva il viso tirato e stanco. La porta della stanza di aprì e il grande sacerdote Amel entrò seguito da Khayman. Era un uomo anziano, di grande saggezza. Era stato molto amico del faraone Akemon padre di Enkhyl e aveva amato moltissimo la madre, la regina Lydia, anche se di religione diversa dalla sua. Nutriva un grandissimo affetto per il giovane sire. Karim si inginocchiò e il vescovo gli sorrise posando una mano sulla testa del ragazzo. Si avvicinò al letto del faraone, avvicinò lo sgabello su cui era seduto Karim e si sedette prendendo la mano del sovrano. “Ditemi, lazzarone, oggiche scusa abbiamo inventato per non alzarci dal letto e rimanere a oziare?” La sua voce morbida e profonda era carica di affetto. Enkhyl sorrise prima, e poi lentamente il suo viso si fece buio, e una lacrima silenziosa gli scivolò lungo il bellissimo viso. Prontamente Amel la asciugò con l’indice, accarezzando la guancia del sovrano. Enkhyl si ritrasse leggermente, cercando di riguadagnare compostezza. “Via, non vergognatevi delle vostre lascrime. Siete un uomo adulto, e provare dei sentimenti è naturale, anche se siete il sovrano. Avete diritto, almento in privato a lasciarvi andare. Ditemi cosa vi angoscia.” Il ragazzo si sedette, e con il viso nascosto tra le mani, iniziò a piangere. Amel si sedette accanto a lui, a gli passò il braccio intorno alle spalle. Fece cenno ai servitori di avvicinarsi. “Vedete, mio sire? I vostri cari amici sono preoccupati per voi. Non volete dire ai vostri amici cosa vi tormenta? Suvvia altezza, sapete che potete contare sul nostro aiuto. Vi vogliamo bene e vi aiuteremo a risolvere ogni cosa.” Enkhyl riprese il controllo, e sollevò leggermente il viso. Aprì la bocca come per parlare e la richiuse. Poi abbassò lo sguardo e parlò a voce bassa. “Io... non lo so. Mi sento debole, non riesco a mangiare. Faccio sogni orribili, di cui non ricordo molto. E inoltre...” Il sacerdote congedò i servitori del faraone. Poi si sedette di nuovo con il giovane sire.
“Guardami Enkhyl.”
“No... ho... ho paura....”
Amel gli prese dolcemente il viso tra le mani. “Enkhyl. Che cosa c’è?”
Il giovane sire chiuse gli occhi e parlò con voce appena udibile.
“Io sono un assassino. Ho ucciso un uomo due notti fa. E questa notte un altro. E ho violentato una donna.” Il faraone riprese a piangere come se avesse il cuore spezzato, nascondendosi il viso tra le mani.

Quando arrivò davanti al palazzo reale Esmeralda rimase a bocca aperta. Era rimasta sorpresa entrando in città per la pulizia delle strade e l’architettura squisita degli edifici, era rimasta frastornata dalle cupole d’oro del palazzo del faraone che scorgeva in lontananza e quando aveva visto i mosaici di vetro del Grande Tempio del Sole era rimasta abbagliata dalla bellezza di quelle fragili e stupefacenti composizioni. Ma la reggia di Enkhyl di Kemeth l’aveva lasciata senza fiato. Un cancello d’oro massiccio portava al colonnato di marmo rosso che si apriva su di una gigantesca fontana di alabastro raffigurante il trionfo del Sole su Apophis, il malvagio dio-serpente. Ra Arakti si ergeva in tutto il suo splendore raffigurato con il tallone sulla testa del suo mortale nemico. La costruzione dietro alla fontana era costituita da un corpo centrale cilindrico da cui si innalzavano fiere sei torri bianche, tutte di forma circolare. La più alta di tutte era ornata con statue d’oro posizionate a spirale a intervalli regolari. Un meraviglioso giardino fiorito di mille colori circondava il palazzo. Le guardie ai lati del cancello la guardavano incuriositi. Lei gli sorrise e si avvicinò a quello che identificò come l’ufficiale di grado maggiore.
“Perdonatemi capitano, sua maestà il nobile faraone Enkhyl di Kemeth mi attende. Potete gentilmente chiamare uno dei vostri uomini per scortarmi da sua altezza sire Enkhyl?”
L’uomo la guardò è ricambiò il sorriso. “Nay, fanciulla oh così giovane e bella. Sua maestà il nobile faraone Enkhyl non può ricevervi oggi. Ci è stato ordinato di non lasciar passare nessuno.” Esmeralda si corrucciò. “ Oh, vi prego, ho fatto molta strada, e inoltre sua grazia il faraone mi attende. Sono stata inviata qui dal Mago Nero Kaleb, il mio nome è Esmeralda, e sono la sua apprendista. Sono venuta qui per giurare fedeltà al grazioso sire, come mi era stato ordinato dal suo fedele servitore. Voi siete senza dubbio un uomo importante se presiedete la guardia ai cancelli del suo palazzo. Intercedete per me vi scongiuro.” Il militare ampliò il suo sorriso e rispose.
“E voi siete invero una furba adulatrice... oh sì. Tuttavia se il Mago Nero vi manda forse Sire Enkhyl vi attende davvero. Anche se non ci era stato comunicato il vostro arrivo.”
Esmeralda non si perse d’animo e insistette.
“Perchè contrariamente alle previsioni ho viaggiato con una carovana più veloce di quanto avessi pronosticato. Non ci siamo fermati a Tebe e siamo arrivati con due giorni di anticipo. Non fatemi passare la notte in una locanda, da sola... ho paura. Vi prego, portate un messaggio del mio arrivo a sua altezza il faraone. Ve ne prego... qui non ho nessuno...” L’ufficiale riflettè un istante e guardò nei profondi occhi della fanciulla. Poi chiamò un soldato dalla guardiola e parlò con lui in disparte. Il soldato si allontanò in direzione del palazzo.
“Ho mandato ad avvertire il maestro di palazzo, il primo ministro di sua maestà il faraone Enkhyl, il nobile Khayman del vostro arrivo, fanciulla oh così giovane e bella. Se riterrà opportuno vi permetterà di avere udienza con sua altezza reale.”
Esmeralda sorrise radiosa e gettò le braccia al collo dell’ufficiale che rimase sorpreso e imbarazzato. “Oh, grazie, grazie capitano! Siete invero un degno servitore del faraone! Oh, perdonatemi, non volevo imbarazzarvi, ma sapete... sono giorni che nessuno si dimostra tanto gentile nei miei confronti...” disse ritirandosi immediatamente e sprofondando in un inchino. Il militare e i suoi compagni scoppiarono a ridere con la fanciulla.

Khayman aspettava impaziente fuori dalla porta degli appartamenti reali. Karim sedeva in un angolo con aria corrucciata. Si chiedeva se aveva fatto bene ad allontanare Kaleb... forse lui avrebbe avuto una soluzione al problema che affliggeva il suo signore... o forse... forse ne era la causa... non sapeva darsi pace. Il suo sire soffriva da giorni, e lui non si era accorto di nulla... la porta della camera si aprì. Il sommo sacerdote Amel uscì. Karim si alzò e si avvicinò all’anziano saggio. Il vecchio li guardò con aria seria.
“Sire Enkhyl non è malato. Non è vittima di una maledizione, per quanto ho potuto constatare. Dice di aver ucciso due uomini e di aver preso con la forza una donna nelle notti passate.” Karim sbottò immediatamente. “Ma è IMPOSSIBILE! E’ sempre rimasto a palazzo! Me ne sarei accorto se...” Khayman lo interruppe. Il vescovo riprese a parlare.
“Naturalmente nessuno pensa che si sia macchiato di questi orribili crimini. Eppure lui dice di non ricordare nulla, se non qualche frammento di sogno, sogni terribili, che la sua mente si rifiuta di accettare. Dentro di sè, però, porta questa consapevolezza. La consapevolezza di essere un assassino.”
Khayman rimase senza parole. Karim scuoteva la testa, incredulo.
“Ditemi eminenza” cominciò il ministro “come possiamo aiutare il nostro sire? Come possiamo... scoprire se veramente il nostro amato faraone ...”
Il sacerdote li guardò entrambi. Poi riprese.
“Non è malato, non porta su di sè il peso di maledizioni, o anatemi, e non è posseduto da demoni o spiriti maligni. Ho fatto tutto quello che potevo fare, abbiamo pregato insieme e l’ho assolto dai suoi peccati. Di più non sono in grado per ora. Devo cercare la soluzione nei testi sacri. Vi consiglio di rivolgervi ad un potente incantatore. Uno stregone potrebbe avere la soluzione al problema, anche solo temporaneamente. Il Mago Nero so che non è più a palazzo... dovete rivolgervi a qualche gilda, qualche fratellanza di cui possiamo fidare. Nessuno deve sapere che Sire Enlhyl soffre di questo male.”
Khayman sentì il peso del rimorso. Maledisse se stesso, e Kaleb.
“Ora sire Enkhyl sta riposando. Sforzatevi di farlo mangiare. Cercate di allietarlo con la vostra compagnia. E soprattutto cercate di non lasciarlo mai solo.” Karim entrò immediatamente nella stanza, mentre Khayman e Amel si avviavano ai cancelli. Non fecero molta strada che vennero raggiunti da un soldato. Il ragazzo si inginocchiò e si rivolse al ministro. “Nobile Khayman, Esmeralda di nessun dove chiede udienza con sua maestà il faraone Enkhyl di Kemeth. Dice di essere attesa, e di appartenere all’apprendistato del Mago Nero.” Il vescovo gli sorrise e si rivolse a lui.
“Lo vedi, Khayman? Gli dei sono misericordiosi.” Si avviarono verso i cancelli scortati dalla giovane guardia.

Enkhyl cercava di non pensare. Sdraiato sul letto con il viso rivolto al cielo a cui implorava pietà e misericordia. “Ciao Karim. Siedi qui accanto a me. Amel dice che non devi mai lasciarmi solo. Eppure, davanti alla Tenebra, lo siamo tutti. Lo siamo tutti, no?”
Karim si avvicinò. Si sedette accanto al suo sire. “Non dire queste cose. Noi non ti abbandoneremo mai. Nemmeno davanti alla Tenebra.” Enkhyl sorrise, e fu un sorriso amaro che i conficcò come uno stiletto nel cuore di karim.
“Oh, Karim. Sei qui eppure il mio cuore non ti vede. I miei occhi ti vedono, la mia mano ti tocca, ma la mia anima non riesce a raggiungerti. Un lugubre velo si frappone tra di noi, ed è un sudario. Se non riesco a liberarmi da questo peso, non arriverà l’alba di domani per il tuo sire.” Il ragazzo aprì la bocca, e la richiuse. Prese le mani di Enkhyl e le baciò. Quindi sorrise a sua volta. “Questo non succederà, finchè avrò un respiro da esalare. Questo non accadrà, perchè non avrò paura del fuoco della gehenna, nè degli spazi infiniti dell’empireo, io ti proteggerò.” Enkhyl lo abbracciò, e Karim lo strinse al petto. Sembrava tanto indifeso, e vulnerabile il suo sire. Una creatura così fragile, così meravigliosa.

La ragazza attendeva seduta su di uno sgabello di ebano. Era bella come un pomeriggio d’estate. I suoi capelli castani riflettevano l’oro del sole ad ogni movimento, i suoi occhi verdi si illuminavano di curiosità per ogni cosa che incrociavano. Era alta per essere una fanciulla, e aveva una figura snella e longilinea. Portava una corta tunica blu dal taglio romano, che le sfiorava le ginocchia, e calzari di cuoio. Aveva una borsa da viaggio da cui spuntava la spirale di legno di un bastone, o uno scettro. Portava un singolare copricapo a punta, che non aveva mai visto prima. Lo guardava con un misto di timore e reverenza.
“ Prego, servitevi magistra” disse indicando un vassoio carico di gallette al miele e frutta fresca tagliata. “Oh, siete molto gentile nobile Khayman. Ho viaggiato tutta la notte e sono molto affamata...” rispose con un radioso sorriso. Prese una galletta e la portò alla bocca, socchiudendo gli occhi in estasi per la dolce fragranza del biscotto. “Sono squisiti, non ho mai mangiato niente di così dolce e fragrante” disse prendendone un’altra. Se il Mago Nero lo inquietava, la fanciulla gli faceva tenerezza con i suoi modi semplici e un po’ goffi, ma genuini. Si mise subito in guardia. Poteva anche essere il motivo per cui Kaleb l’aveva mandata. Indurlo a fidarsi di lei. Il vescovo Amel intanto sedeva con loro sorseggiando del latte di dattero da una tazza di ceramica. Guardava Esmeralda con curiosa benevolenza. “Avete fatto molta strada fanciulla oh così giovane e bella. Molta, orsì. Siete senza dubbio coraggiosa, e intraprendente. Siete un’abile incantatrice?” chiese il sacerdote. Lei gli sorrise e rispose “ Sarei immodesta e bugiarda a dire che non lo sono. Il Mago Nero Kaleb come voi sicuramente sapete è stato il mio tutore. Egli è grande nella magia e nelle arti arcane più di chiunque altro, e molto mi ha trasmesso del suo sapere. Mi ha chiesto di venire qui per servire sua maestà il nobile faraone. E io vorrei esaudire questo suo desiderio.” Khayman e Amel si guardarono. Poi Amel rirprese con aria grave.
“Sua maestà il faraone ha bisogno di un’abile incantatore. Ora più che mai. Seguiteci vi prego.” Lungo la strada che portava alla Torre dell’Alba, brevemente Amel spiegò ogni cosa alla giovane che ascoltava attentamente, annuendo e cambiando espressione a mano a mano che il vescovo le rivelava il tormento che affliggeva il sovrano.
“Non sappiamo cosa affligga il nostro signore. Speriamo che possa dircelo tu, Esmeralda.” Lei lo guardò con aria seria e composta. Il suo sguardo era carico di determinazione. Si ichinò e guardandolo negli occhi con fermezza gli rispose.
“Il Faraone sua maestà Enkhyl è il mio sovrano, il mio sire. Farò l’impossibile e andrò oltre se necessario per sollevarlo dal suo dolore. E davanti al trono degli dei tutti giuro solennemente di non proferire parola con nessuno di quanto mi è stato in fiducia non ancora meritata confidato da voi eminenza.” L’anziano le sorrise benevolmente, e il cure di Khayman si rilassò. Sembrava capace. Forse gli dei avevano davvero mandato quella fanciulla per salvare il suo sire. Entrarono negli appartamenti reali.

Enkhyl giaceva in stato di semicoscienza, grato di galleggiare in un limbo senza tempo, dove nessun pensiero gli sfiorava la mente. Quando la porta della sua camera si aprì sprofondò nella Tenebra dell’oblio e nessuno ci fece caso. Karim invece gli andò in contro e si inginocchiò davanti al vescovo. Poi volse il suo sguardo alla fanciulla che gli sorrideva amichevolmente.
“Karim, ti presento Esmeralda, apprendista del Mago Nero. Esmeralda, questo è Karim, servitore e confidente personale del faraone Enkhyl di Kemet.” Esmeralda si inchinò e Karim le rivolse un sorriso. “Lunghi giorni e piacevoli notti, magistra.”
Lei rispose guardando Khayman come se si aspettasse una conferma. “Due volte altrettanto a voi, sai.” Khayman le fece un cenno di approvazione sorridendo. La figura del faraone era appena visibile da dietro le tende di seta del baldacchino. Esmeralda estrasse il bastone dalla borsa da viaggio che appoggiò delicatamente in terra e si avvicinò al sovrano scortata ad Khayman. Il ministro si avvicinò al letto e le fece cenno di seguirlo. Khayman parlò al sovrano. “Sire... mio signore. C’è una persona che desidera vedervi, mio signore.”
Enkhyl di Kemet che giaceva sul fianco si voltò. I suoi occhi erano vuoti. Balzò ferinamente addosso a Khayman, colpendolo violentemente. Khayman urlò per la sorpresa, e cadde a terra con il suo sire aggrappato su di lui. Il bellissimo volto del faraone era distorto in una maschera di odio e ferocia. Con uno scatto fulmineo Enkhyl affondò i denti nel collo di Khayman, lacerando la carne. Khayman sentì un dolore terribile e cercò di divincolarsi urlando. Karim osservava la scena impietrito. Amel si fece avanti e sollevò il simbolo sacro. Prima che potesse pronunciare un incantesimo Enkhyl con agilità soprannaturale e velocità demoniaca gli fu addosso scagliandolo a terra. Ringhiava come se fosse posseduto da un intero esercito di demoni.
“Fuu! Rin! Ka! Zan! Cerchio incantatore!” Esmeralda si ergeva, circondata da un’aura di luce. Sotto ai piedi del sovrano un pentacolo magico si aprì immobilizzandolo. Enkhyl lottò contro la forza soprannaturale ma non riuscì a liberarsi. Esmeralda corse alla borsa e ne estrasse una grossa gemma blu circondata da un debole bagliore. Si volse verso il sire.
“Chi sei? Dimmi chi sei tu che tormenti il mio sire? Parla!” Enkhyl ringhiava ed esplose in una fragorosa risata. Fu una moltitudine di voci a rispondere.
“Io sono il Bevitore di Sangue!”




Enkhyl avanzò nella tenebra del corridoio. Non c’era illuminazione ma vedeva chiaramente le pareti affrescate. Aveva visitato quel luogo nelle ultime notti, e anche se la sua mente rifiutava il ricordo il suo cuore lo sapeva e lo guidava con passo sicuro. Arrivò al doppio portone che dava sulla sala del trono ed entrò. I braceri ardevano sfrigolando, illuminando debolmente la stanza. Si diresse, verso il portone da cui era comparso il Mago Nero nei suoi sogni precedenti. C’era odore di sangue, il sangue delle sue vittime. E un altro odore, odore di morte e putrefazione. Quando varcò quella soglia una debole luce cominciò a intravedersi alla fine di un lungo corridoio. Si incamminò di nuovo. Arrivò in un'altra grande sala rettangolare. Lungo tutto il perimetro delle grandi colonne sorreggevano il soffitto. Davanti a lui la luce del giorno entrava dall’ingresso del palazzo e dalle finestre poste lungo i muri laterali. La forte luce gli dava fastidio agli occhi abitati all’oscurità. Si avviò e quando arrivò a metà della stanza sentì la voce del Mago Nero chiamarlo alle sue spalle.
“Enkhyl! Fermati ti prego! Non avventurarti al cospetto di Ra Arakti in quel corpo!”
Il faraone si volse verso il Kaleb.
“Che cosa hai fatto? In nome di tutti gli dei, quale mostruosità si cela qui? E perchè tu lo proteggi e arrivi a nutrirlo? Perchè si ciba di vite umane, non è vero Kaleb?”
Il Mago Nero si avvicinava lentamente.
“Enkhyl... fidati di me. Ti prego. Vieni, torniamo dentro a parlare. Ti scongiuro, devi fidarti di me...” Il faraone lo guardava impassibile. Si mosse verso di lui. Quando arrivò davanti al Mago Nero levò il pugno e lo colpì scaraventandolo nel buio del corridoio.
“Io ti disprezzo per quello che hai fatto. E ti maledico. Ora tocca a me porre fine a tutto questo. Lo farò distruggendo questo essere perverso alla luce del giorno. Ti voglio dare un consiglio Mago Nero. Non tornare mai più a Kemeth. Non tornare se non vuoi sperimentare la collera di coloro che mi hanno amato più della loro stessa vita. Perchè loro sapranno di certo che sei tu il responsabile di tutto. Lo sapranno e ti daranno la caccia. Fuggi e non tornare mai più. Addio Kaleb. Possano gli dei avere pietà della tua anima nera.” Si volse e si avviò verso il suo destino. Kaleb lo vide scomparire all’esterno, e si gettò di corsa verso di lui urlando.

Esmeralda reggeva la Pietra del Saggio nella mano sinistra e nella destra il bastone. Il bevitore di sangue era immobilizzato, ma non ancora a lungo. Era potente, e la sua forza presto avrebbe spezzato il sigillo. Khayman si stava rialzando, Amel giaceva a terra privo di sensi e Karim uggiolava in un angolo come un cucciolo spaventato. Non lo vedeva ma sentiva i suoi lamenti indistinti come i guaiti di un cagnolino. Il suo cuore batteva all’impazzata nel petto, ma la sua mano era ferma e i suoi occhi vigili. Doveva decidere ora, e subito. Decise di rischiare la sorte e lanciò la Pietra in aria, pregando tutti gli dei di aiutarla, pregava di non essersi sbagliata, di assisterla mentre cercava di salvare il buon sovrano. La sua preghiera nasceva dal cuore, dal più profondo della sua anima, e si levava bisbigliata all’Empireo, più forte di tutte le grida, più risonante di un corno da guerra. Levò la bacchetta e si preparò a colpire.

Il fuoco bruciava fuori e dentro. L’abbraccio del Sole era terribile, una sofferenza così grande che non riusciva a sopportare, e un supplizio da cui non aveva scampo. Il suo cuore pompava quasi da distruggergli il petto, e balzare ad esploderne fuori, dove sarebbe arso come ogni altra parte del corpo che lentamente si consumava. Sarebbe arso come bruciava di amore per le persone che sapeva in pericolo in quel preciso momento, nella sua stanza, a mille miglia da lì. Sapeva che stava urlando, e avvertì un altra voce gridare con lui. Il Bevitore di sangue moriva con lui. Il suo ultimo pensiero coerente andò perso nel fulgore del Bianco, che potevano essere i cancelli del paradiso o le interminabili fiamme della gehenna.

Per poco mancò il colpo quando il Bevitore esplose in un lamento agghiacciante, con tutta la forza di cui era capace. La sua pelle prese a bruciare come se fosse stato colpito dal soffio di un Dragone. Esmeralda distese il braccio e con il bastone colpì la Pietra che si infranse in minuscoli pezzi, che saettarono in direzione del mostro urlante. Non sapeva se sarebbe riuscita a parlare per pronunciare la formula. Sentì se stessa parlare lontana, come se ascoltasse una persona da dietro una porta chiusa.
“ Al Guardiano del Cancello io ti comando! Scambio di Anime!”
I frammenti esplosero in un lampo di luce mentre toccavano l’immondo essere che si contorceva. Le fiamme si spensero immediatamente. Il faraone cadde a terra. Le guardie capitanate dal generale Gilford irruppero nella stanza, trovando il loro signore a terra privo di sensi, il maestro di palazzo con uno squarcio alla base del collo, e il Grande Sacerdote del Tempio del Sole a terra, svenuto. La giovane Maga Nera si sedette a terra, svuotata. “Sia quel che sia. Ho fatto quello che dovevo, e prego tutti gli dei di averlo fatto bene.” Pensò fra sè.

Enkhyl di Kemeth vide se stesso avanzare verso di lui. E si riconobbe. Era la creatura che aveva bevuto il sangue dei due uomini e aveva prima violentato la donna per poi cibarsene. L’altro se stesso lo guardava con aria di sfida.
“Che cosa credevi di fare, idiota? Non lo sai che non puoi distruggermi? Il sole brucia la mia carne, ma ormai non è più in grado di dissolvermi come il vento la polvere. E’ passato troppo tempo, sono diventato più forte di lui.”
Il giovane sire lo guardò con disprezzo.
“Io ti distruggerò. Lo farò e ucciderò colui che ti ha creato. Il responsabile di questo scempio. Ti distruggerò e porrò fine a questo abominio.”
“Distruggermi? Distruggere colui che mi ha creato! AH! Povero stolto. Non puoi. Perchè se muoio io, morirai con me. Noi due siamo legati. Se ti togli la vita, io posso continuare a esistere perchè sono già morto. Se distruggi me, invece, anche se è impossibile, tu morirai con me.”
Enkhyl lo guardò e sorrise. Fu un sorriso tagliente.
“Credi che questo basti a fermarmi?”
Il tenebroso sovrano lo guardò con odio, e sorrise a sua volta.
“Allora vieni, Enkhyl. Vieni a me, se credi. Sappi che io non ho paura. Io sono forte, forte come tu non sarai mai. Io posseggo un esercito più numeroso del tuo, e immortale. Io esisto da secoli, e sono il legittimo sovrano di Kemeth. Per questo, io ti ucciderò e berrò il tuo sangue. E sarò di nuovo vivo!” ringhiò il mostro, scoprendo le zanne accuminate che aveva al posto dei canini, balzando in avanti con tutta la ferocia di cui era capace.

Il generale Gilford guardava impietrito la stanza, cercando una spiegazione razionale. Aveva trovato il suo sire a terra, svenuto, con la bocca e il mento mondi del sangue che gli avevano detto apparteneva a Khayman, il primo ministro del re. Amel il Grande Sacerdote che si era ripreso, cercava di calmare il fanciullo che faceva da valletto al suo faraone. La ragazza con il bastone sedeva accanto a sire Enkhyl che avevano adagiato di nuovo sul letto, e lo osservava con aria preoccupata. Khayman al suo fianco pregava senza sosta. Aveva sentito quelle urla disumane provenire dalla Torre dell’Alba ed era corso a vedere cosa stava accadendo. Sembrava che un intero plotone di esseri demoniaci avessero invaso le stanze del faraone. Al suo arrivo Khayman gli aveva raccontato ogni cosa mentre Amel, appena ripresosi gli aveva rimarginato le ferite infertegli dal suo stesso sovrano, posseduto da un demone chiamato il bevitore di sangue. La fanciulla, Esmeralda aveva scacciato quel demone con un potente esorcismo, ma quali fossero le conseguenze non lo sapevano ancora dire. Sire Enkhyl si mosse, e aprì gli occhi. La mano di Gilford corse istintivamente all’elsa dello spadone che portava appeso alle spalle. Il sovrano si mise a sedere, prese la mano di Esmeralda e inginocchiatosi la baciò. Poi si prostrò davanti tutti loro, con la testa abbassata e le mani con i palmi aperti verso il cielo sopra la testa. Rimasero tutti impietriti per la sorpresa.
“ Di tutti i crimini di cui un uomo può macchiarsi, io ho commesso il più terribile. Forse non sono un assassino, ma sono certo un traditore. Ho lasciato che quella bestia immonda vi facesse del male. Non chiedo perdono, imploro pietà al vostro cuore, davanti ai Troni Celesti. Ho messo a repentaglio tutti voi, le vostre anime immortali. Se potete, concedetemi la grazia.” Amel si inginocchiò e posò le mani sul viso del faranone, cotringendolo dolcemente ma con fermezza a guardarlo.
“Tutto quello che conta ora, e che siate di nuovo voi, e che stiate bene. Non ci serve sapere altro. E ora alzatevi sire. Non dovete prostrarvi davanti ai vostri servitori. Le nostre vite, vi appartengono, e le nostre anime, sono al vostro servizio.”
Enkhyl si alzò e guardò Esmeralda. La giovane si sentì avvampare. Non aveva mai visto tanta bellezza, tanta forza e tanta grazia tutte in una volta sola. Era impossibile distogliere lo sguardo da quegli occhi viola ametista, così diversi dai pozzi neri in cui si era specchiata poco prima.
“Siete stata voi a salvarmi da lui, non è vero? Io vi devo molto di più della vita.”
Esmeralda cercò di parlare, e dopo un paio di false partenze balbettando incontrollatamente trovò la forza di rispondere.
“Sie.. Si.. ehm.... ho... ho fatto solo il mio dovere, mio signore. Il mio nome è Esmeralda, e vengo da quello che ora è chiamato impero a nord. Sono l’apprendista del Mago Nero, so che mi aspettavate.” A quelle parole il faraone si rabbuiò.
“Dite... dite di essere sua apprendista... venite. Dobbiamo parlare. Devo raccontarvi tutto quello che ho scoperto. Ma prima di tutto ho bisogno di lavarmi, e di un pasto completo. Sto morendo di fame.” Disse sorridendo il sovrano, e il cuore di tutti si alleggerì. Se aveva fame il demone lo aveva lasciato, anche se forse, solo fino al tramonto.


Il corpo carbonizzato del bevitore di sangue giaceva in silenzio nell’ombra della cripta. Kaleb si avvicinò e aprì la giara che teneva in grembo. Il sangue freddo di una vittima uccisa due ore prima forse non avrebbe avuto un buon sapore, ma in quel frangente non c’era possibilità di scelta. Quando fiutò il sangue il vampiro aprì la bocca non senza dolore. “Anche questa ti toccherà pagare Enkhyl di Kemeth. Anche questa mi pagherai, molto prima di quanto immagini.” Pensò mentre il Mago Nero gli versava poco alla volta il sangue nella gola arsa dal sole. Si sentiva più forte. Sentiva il sangue irrorare ogni parte del suo corpo ormai secco come la corteccia di un albero. Si stava rigenerando. Preso avrebbe preso il sangue del faraone. Il sangue che lo avrebbe reso di nuovo vivo. Aveva sbagliato a sottovalutare il coraggio del ragazzo. A quanto pare Kaleb lo conosceva bene. Peccato che fosse un traditore. Ma i suoi piani stavano già venendo frustrati. Il Mago Nero non si aspettava che avrebbe avuto l’idea di usare lo scambio di anime per possedere il ragazzo. Una mossa avventata forse, dato che giaceva nel tormento del fuoco, e tutta la sua progenie era stata polverizzata nel giro di pochi istanti. Più di duemila bevitori di sangue sterminati dall’avventatezza di quel pazzo che aveva osato sfidare Ra Arakti in pieno giorno. Lui aveva resistito, metre i suoi figli tenebrosi, i cui più vecchi avevano al massimo un centinaio di anni no. Erano arsi nei loro sarcofaghi come torce nella notte, senza sapere cosa stava accadendo. Una grande perdita, non certo da arrestare i suoi piani, ma.... doveva riconoscere al ragazzo un enorme forza di volontà e tempra d’acciaio. Chissà quanto ne aveva risentito? Quegli attimi dovevano essere stati terribili per lui. Non possedeva la sua resistenza, e nonostante tutto era sopravvissuto e con la mente ancora intatta. Altro sangue. Altra vita che rifluiva nel suo corpo straziato dal sole. “Ti renderò quello che sono, e poi ti esporrò ogni giorno al sole. Quanto basta da ridurti in fin di vita, e poi ti lascerò guarire lentamente. Ogni giorno di più finchè il tormento ti ridurrà un demone cieco e furente. Allora forse ti ucciderò” pensava ridendo dentro di se.


Immerso nelle limpide acque della fontana della Vergine delle Acque Enkhyl osservava il cielo, lasciando galleggiare il suo corpo. Cercava di imprimere nella memoria tutti i particolari, ogni singolo istante delle ultime ore che aveva vissuto. Ora sapeva cosa voleva quel mostro. Voleva il trono. E il suo sangue, per tornare ad essere vivo e non più non-morto. Doveva parlare con Khayman. Doveva parlare con tutti loro. Esmeralda... la bellissima Esmeralda... rievocare quegli occhi di giada e i capelli dorati della fanciulla gli fece venire un tuffo al cuore. Apprendista del Mago Nero. L’uomo che lo aveva venduto al Bevitore di Sangue. Quell’essere che gli assomigliava tanto da poter essere scambiato per lui. I sogni di morte, il fulgore del sole nel cuore del deserto, il dolore, l’insopportabile tormento che aveva sperimentato sulla sua pelle, la paura, l’aggressione al suo adorato ministro... e i silenzi. Doveva sapere. Doveva venire a conoscenza del suo passato. Doveva capire. E poi prendere una decisione. Si alzò, e uscì dalla fontana. Karim attendeva con un telo di cotone in mano che gli porse per asciugarsi. Si vestì con una gonna di seta bianca che gli arrivava appena sopra il ginocchio, legata con una cintura d’oro e diamanti. Indossò i gioielli come ogni giorno e la corona. Il simbolo sacro di Ra Arakti sul petto non gli pesava più. Il disco di platino e oro bianco era tornato leggero. Si avviarono insieme verso la sala da pranzo dove Khayman aveav fatto allestire un piccolo banchetto. Quando i servitori gli aprirono le porte della sala da pranzo l’odore delle carni arrostite alla brace e del pane appena sfornato gli arrivò alle narici facendo reclamare il suo stomaco. I suoi commensali aspettavano tutti in piedi accanto al tavolo. Il faraone prese posto a capotavola e fece accomodare i suoi ospiti. Esmeralda sedeva all’altro capo del tavolo, poco distante. Aveva indossato una veste di lino rossa, che gli lasciava le spalle scoperte, e un diadema le copriva la fronte. Il generale Gilford sedeva composto, alla destra del Grande sacerdote Amel. Accanto a lui avrebe preso posto Karim.
“Prima di tenere conciliabolo, spezzeremo il pane insieme. Lasciamo le cose spiacevoli al di fuori di questa stanza per un po’.” Disse il faraone con approvazione di tutti. Pranzarono tutti abbondantemente, salvo Esmeralda che si sentiva lo stomaco chiuso. Le pietanze erano squisite, ma non riusciva a madare giù che pochi bocconi. Si sentiva osservata dal giovane sire. Quando l’aveva visto entrare, il cuore le si era arrestato nel petto. Il bianco della gonna di seta che arrivava poco sopra il ginocchio risaltava contro la pelle abbronzata, slanciando la sua figura già alta. Il bellissimo viso dai lineamenti morbidi, incoronato dal diadema reale che raffigurava il Sole, i capelli neri e lucidi come le piume di un corvo, e gli occhi, quei meravigliosi occhi...
“Credo che sia giunto il momento per me di rivelare quanto ho scoperto quando sono stato nel corpo del bevitore di sangue.” Disse ad un tratto il faraone. L’attenzione si concentrò su di lui.
“Sapete che nelle notti precedenti il mio sonno era turbato da incubi e visioni. In quelle visioni, vedevo con gli occhi di colui che voi avete fronteggiato, l’essere che si è definito il bevitore di sangue. Ho avuto un breve incontro anche con lui stesso, poco prima di riprendere i sensi, ma andiamo con ordine. Circa due settimane fa ho cominciato a sentire un richiamo irresistibile verso il deserto. Questo accadeva verso il tramonto. Prima che sorgesse Iside alta nel cielo, il mio sguardo si perdeva nelle immense distese di sabbia. Poi, tre giorni fa il primo sogno coerente. Sognavo di svegliarmi in un palazzo a me sconosciuto, in un luogo che non avevo mai visto, ma che sentivo come la mia casa. Sapevo di non essere più a Kemeth, ma in un’altra reggia. Percorrevo le stanze e i corridoi fino alla sala del trono, dove il mio servitore, il Mago Nero, mi aveva preparato una vittima sacrificale. Così mi avvicinavo, e prendevo il mio tributo. Bevevo il sangue del malcapitato fino all’ultima goccia, torturandolo all’inverosimile. Quell’essere sadico godeva della sofferenza delle sue vittime. La mia mente al risveglio si rifiutava di portare alla luce quei ricordi, anche se conservava dei frammenti. Cominciai a soffrire di inappetenza, e di nuovo al tramonto sognai di essere il bevitore. Questa volta presi prima il giovane che mi veniva offerto, e poi una fanciulla.” Abbassò la testa, e quasi bisbigliando proseguì il racconto. “Presi quella povera creatura tra le braccia, e cominciai ad accarezzarle i capelli. Lei scoppiò in lacrime, e il mostro le appoggiò la testa sul suo petto. Per farle capire di essere un cadavere animato. Il freddo della sua carne e l’assenza di un cuore che batte, fecero capire alla fanciulla chi, che cosa avesse davanti. La sua mente cedette, e quando lui la prese con la forza per soddisfare il suo perverso piacere lei non se ne accorse nemmeno. Poi se ne cibò come aveva fatto con il ragazzo. Ricordo che mi svegliai, e mi resi conto che il mio corpo aveva reagito alla libidine di quel demonio. Mi lavai alla fontana, e mi dissetai. Ancora bagnato sono tornato a letto, e il terrore dell’alba mi ha colpito. Forse quel mostro stava già cominciando a possedermi, perchè ora, ricordo di aver avuto paura del Sole nascente. Poi siete arrivati voi, e mi avete raccontato di aver gridato il nome di Amon-Ra, l’antico dio del Sole. Ora ricordo di averlo fatto. Ricordo di averlo maledetto per il dolore che mi straziava la carne. Ricordo bene lo stato confusionale in cui ero precipitato. Non capivo più chi ero veramente, e dove mi trovavo. Poi ho chiuso gli occhi con il mio amato Karim accanto a me, messo a guardia del suo sire. Quando li ho riaperti ero diventato il bevitore di sangue. Ero nel suo palazzo, ad En’gha, la città proibita. Ora sappiamo perchè veniva definita tale. Ripercorsi tutta la strada fino alla sala del trono, dove avevo consumato i miei sacrifici. L’odore del sangue e della morte permeava la stanza. Quindi proseguii attravarso le porte da cui arrivava il Mago Nero. Quando fui nell’atrio centrale, ad un passo dalla luce del giorno lo stesso Kaleb corse per cercare di fermarmi. Se fossi uscito avrei distrutto il corpo del bevitore, che non resiste alla luce del giorno. Kaleb mi supplicò di seguirlo, dicendo che mi avrebbe spiegato ogni cosa. Ma i ricordi che avevo riacquistato mi misero in guardia da lui. Il Mago Nero proteggeva e nutriva quel mostro. Non potevo fidarmi di lui. Mi avvicinai e con tutta la forza soprannaturale di quel demonio che lui stesso aveva servito lo scagliai all’interno, verso le cripte. Poi mi avviai fuori. Il primo contatto fu atroce, ma non era nulla rispetto a ciò che mi attendeva. Fu come immergersi nel fuoco liquido. Il sole mi consumava, bruciava la pelle e quando arrivò alla carne viva sottostante il tormento divenne agonia. Urlavo con tutta la forza di cui ero capace, e i raggi che entravano nelle fauci immonde bruciavano la gola e le corde vocali. Se la giovane Esmeralda non avesse usato le sue arti per salvarmi dal mio destino, credo che sarei impazzito per il dolore, e morto per il trauma subito.” Tutti si voltarono verso la fanciulla che arrossì abbassando la testa. “Credetti di essere morto, e mi preparavo ad incontrare gli dei, quando vidi qualcosa che mi sconcertò. Vidi me stesso avanzare verso di me. Mi vidi camminare nella mia direzione. Quando fummo faccia a faccia capii. Uno di noi era Enkhyl di Kemeth. L’altro era il bevitore di sangue. Era come specchiarsi. Il bevitore aveva i canini accuminati e le unghie come artigli, ma per il resto era identico a me. Credo che porti il mio stesso nome. Lui mi ha sfidato, cercando di provocarmi, in realtà sono stato io a spingerlo ad attaccare. Così ho scoperto due cose di fondamentale importanza. La prima: siamo in qualche modo legati. Deve cercare di sottrarmi il sangue che lo renderebbe vivo a tutti gli effetti. Il mio sangue è la sua chiave per tornare dalla tomba definitivamente. La seconda cosa potrebbe sconcertarvi. Se uno di noi due muore, l’altro è destinato alla stessa sorte.

Mentre il cadavere riposava, riprendendo forma, Kaleb doveva decidere il da farsi. Sapeva di essere stato scoperto. Il suo tradimento ormai era palese. E non poteva nemmeno tornare a Kemeth, perchè Enkhyl non gli avrebbe creduto. Esmeralda, la piccola Esmeralda... anche lei era convinta di quanto asseriva il faraone? Gli aveva creduto? Probabile. Quasi sicuramente era già ai suoi piedi. Ma era per questo che l’aveva mandata da lui, perchè lo servisse e lo proteggesse ciecamente da tutto e da tutti. Persino da se stesso. Ora doveva fuggire prima del tramonto. “Al diavolo! Ammazza quell’abominio e falla finita!!!” gridò disperato. Ma sapeva di non poterlo fare. Al faraone, al contrario delle altre persone, era concessa una e una sola vita. Non poteva risorgere con gli incantesimi clericali. Enkhyl di Kemeth sarebbe morto, morto per sempre. Uscì di corsa dal palazzo. Tre grossi draghi neri dagli occhi di fuoco lo attendevano nella piazza principale di En’gha.
“Credevi di poter fuggire così facilmente, Mago Nero?”
Kaleb li guardò sprezzante.
“Voi non oserete fermarmi, perchè sarebbe stupido. Volete forse morire adesso? Accomodatevi. Siete solo feccia.”
Dal sottosuolo arrivò una scarica di fulmini, che spaccarono il terreno. Tre grossi demoni alati, con affilatissimi artigli e voluminose corna ossee si lanciarono contro i draghi, fondendosi con loro in un turbinio di polvere e fulmini. I demoniaci Draghi Teschionero nati da quella pevesa unione guardarono Kaleb dritto negli occhi.

Il Silenzio scese tra tutti i presenti. Enkhyl riprese a parlare. “Poco prima di riaprire gli occhi nel mondo dei vivi, mi ha detto che il mio gesto di espormi al sole era stato inutile. Che non potevo distruggerlo in quel modo. E che comunque non avrei potuto. Prima di tutto perchè non posseggo la forza e la saggezza necessarie per riuscirci. Secondariamente perchè ucciderlo significherebbe la mia fine. Ha detto che se io morissi, lui continuerebbe ad esistere, in quanto è già morto. Ma se morisse definitivamente lui a me toccherebbe la stessa sorte.” Bevve dalla coppa d’argento un lungo sorso di vino e riprese. “Io credo che in parte quello che abbia detto sia vero. Credo che il Sole non sia più in grado di ucciderlo, ma lo ferisce comunque. E credo di non avere ancora la forza necessaria per distruggerlo. Mi ha detto di avere un esercito a sua disposizione. Più potente e numeroso del mio. E anche questo credo sia vero. Credo che sia vero anche il fatto che la mia vita dipenda dalla sua e la mia non gli sia necessaria per sopravvivere in quella forma. Credo però, che l’ultima cosa che voglia sia la mia morte per mano di un altro. Lui ha bisogno del mio sangue. Credo che desideri tornare ad essere vivo. Ha cercato di aggredirmi, nell’istante in cui mi stavo svegliando.” Volse lo sguardo verso il primo ministro che ascoltava allibito il racconto. “Suppongo che ora tocchi a te, amico mio. Raccontaci tutto quello che sai, perchè io voglio distruggere quel demonio, anche se questo significherà rinunciare alla vita. Non posso permettergli di diventare il sovrano di questo mondo. Perchè una volta che avrà il trono di Kemeth, punterà a dominare tutta la terra.” Khayman abbassò la testa e si portò le mani alle tempie. “Mio sire, non posso. Non lo posso fare. Voi non... non potete chiedermi di farlo qui, ora, davanti a tutte queste persone.” Enkhyl lo guardò negli occhi e placidamente, con un amaro sorriso sulle labbra rispose.
“Khayman. So da tempo di non essere il legittimo figlio di coloro che per me sono stati madre e padre. Lo so da tre anni almeno. E nonostante questo, li amo ancora, e li ho amati di più quando ho capito di non essere sangue del loro sangue. So che tu eri al corrente di questo segreto, quello che non so, ma che voglio capire, è chi sono e da dove vengo.” Khayman lo guardò allibito.
“Chi vi ha detto queste orribili menzogne? Chi...”
“Lo so, Khayman. Lo so e basta. Nessuno mi ha mai detto nulla. Ora ti prego, dicci in che modo possiamo fermare questo demonio. Raccontaci come sono arrivato qui, se non sai come sono venuto al mondo. Perchè di una cosa sono sicuro, Khayman. Il mio sangue è il suo. Per questo gli serve. Il mio sangue vivo risorgerà il suo morto.”
Khayman scosse la testa. “Non pensate che non vi abbiano amato. Non volevano ingannarvi o darvi un dolore. Vi hanno desiderato tanto da morire per voi. Ora vi spiegherò come, e perchè. Questo probabilmente mi costerà la dannazione eterna, ma credo anche io che sia giunto il momento di rivelare quanto accadde sedici anni fa.”

 
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Makicloe
CAT_IMG Posted on 20/2/2007, 14:40




e' lo stesso ke hai postato sul forum di aquarion, vero?
bello!!! ^.^
 
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PRATTOLOGA
CAT_IMG Posted on 24/2/2007, 12:04




è bello rivedere cose note anche se le hai già lette...è un pò come spolverare nell'album dei ricordi :D
 
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2 replies since 15/2/2007, 15:28   94 views
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